I doni della vita

Scoprire un’autrice come Irene Nemirovsky durante l’estate, per caso, è un piacere: nata nell’Ucraina di iniNemirowkyzio Novecento da un ricco banchiere, trascorre la giovinezza in tutta Europa per poi fermarsi in quel Paese, la Francia, che sentiva come casa fin dai primi insegnamenti della tata francese. Convertitasi al Cristianesimo nel 1939, non riuscì a sfuggire all’orrore nazista e morì ad Auschwitz nel ’42.

Il suo romanzo “I doni della vita” è l’esempio del suo talento soffocato da un triste destino: pubblicato a puntate su “Gringoire” nel 1941, Irene non potè vedere il suo nome scritto in copertina, in quanto ebrea, sebbene avesse goduto negli anni Trenta di grande popolarità, il romanzo fu pubblicato in volume solo cinque anni dopo la morte dell’autrice.

La storia racconta in passaggio generazionale tra la Prima Guerra Mondiale e la Seconda, dal punto di vista della famiglia Hardelot di Sainte-Elme: i veri protagonisti della storia sono Pierre e Agnes, il cui amore darà vita a dinamiche familiari che si dilungheranno per tutto il romanzo.

La dote della Nemirovsky di saper raccontare la quotidianità, la vita del tempo, di renderci partecipi dei sentimenti del popolo, non solo dei protagonisti, è straordinaria, tanto da rendere la narrazione scorrevole e godibilissima.

Composto contemporaneamente a “Suite Francese”, è decisamente un buon passo d’inizio per conoscere questa autrice, di cui è interessante anche il racconto “Il ballo”.

Se quindi siete in vena di conoscere nuove realtà letterarie, Irene Nemirosky con il suo “I doni della vita” è un’opzione valida e piacevole, anche per ridare a un’autrice dimenticata, per gran parte del secolo scorso, la dovuta notorietà.

“I doni della vita lei li aveva riposti nel granaio, e tutto l’amaro e il dolce della terra avevano dato i loro frutti.”

 

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