Intervista a don Gabriele Graziano

Abbiamo intervistato il professore e salesiano don Gabriele Graziano, approfondendo le tematiche attuali della didattica a distanza. 

Salve don Gabriele, può presentarsi?

Certo, sono il Coordinatore pastorale del triennio dei Licei dell’istituto salesiano “Villa Sora” di Frascati, insegno storia e filosofia in diverse classi e sono salesiano dal 2008. Sono felice di essere sia sacerdote che salesiano.

L’insegnamento in classe è sinonimo di comunità e di socialità. Come evitare che questo pilastro su cui poggia la scuola venga meno con la didattica a distanza?

La didattica a distanza è una modalità per garantire il diritto allo studio agli studenti, ma certamente non è la modalità ideale per fare scuola. Etimologicamente “insegnare” significa “segnare dentro” e, affinché questo possa avvenire, è necessaria una relazione e una presenza.  Lévinas dice che una relazione si può avere soltanto quando si incontra un volto, tuttavia una relazione può mantenersi anche virtualmente perché la persona che sta dietro lo schermo non è una persona virtuale ma vera, reale. Quindi la didattica a distanza, sebbene richieda una fatica certamente maggiore da parte di tutti, può risultare efficace anche se non come quella in presenza. Efficace nella misura in cui ci si rende disponibili all’incontro. Nonostante tutto attualmente è l’unica modalità che ci consente di poter proseguire l’insegnamento. Se tutto questo fosse accaduto quando andavo al liceo io, avrebbe comportato l’interruzione totale della didattica. Ci si accontenta come modalità transeunte, sperando di poter tornare il più presto possibile alla didattica in presenza, anche perché io sono convinto che l’istruzione è anzitutto educazione. Il nostro obiettivo non è riempire delle teste, ma educare delle persone in tutte le loro dimensioni.

Quali sono le maggiori difficoltà per i docenti nell’organizzare la didattica a distanza? Lo studente si forma anche con il dialogo e il confronto di idee nel suo luogo deputato che è la classe, come si possono salvare queste prerogative in tempo di Covid?

Le difficoltà sono molte: ci vuole molto più tempo, ci vuole molta più fatica. Le persone più deboli, più fragili, rischiano di perdersi un po’. Non capisci bene quando i ragazzi hanno capito e quando no, è difficile capire se stai mantenendo l’attenzione viva o no. Io ad esempio quando insegno giro per le  classi, instauro un dialogo, a volte anche con un’occhiata mandi tanti messaggi. Nella relazione della didattica a distanza questo non è possibile ed ancora più problematico è nella modalità asincrona. Quella sincrona quanto meno consente di potersi vedere, di non perdere la relazione e di poter capire meglio le cose. Si offre così la possibilità allo studente di poter fare domande senza aspettare, ma soprattutto di mantenere l’esercizio. Ho visto tante problematiche con la modalità asincrona, diverse persone si sono descolarizzate, hanno perso gli obiettivi, hanno perso l’entusiasmo, mentre la modalità sincrona mi pare che aiuti di più gli studenti.

Nel 1854 scoppia a Torino un’epidemia di colera. Don Bosco individua nei giovani un aiuto per la soluzione del problema. In tempo di Covid i giovani sono visti invece come una delle cause. Secondo lei l’attribuzione di questa responsabilità ai giovani è una giustificazione per coprirne altre?

I giovani spesso sono usati per coprire altre dinamiche. Gli adulti sono esperti nel colpevolizzare i giovani. È un modo per allontanare via da sé le proprie colpe. I giovani non sono colpevoli di niente. Siamo tutti colpevoli. I giovani possono essere più responsabili. Io ho visto degli atteggiamenti superficiali prima che avvenisse la pandemia e l’ho detto in tutte le classi. Capisco però il desiderio che c’era di abbracciarsi dopo tanto tempo che non ci si vedeva. Ma questo vale per i giovani, per gli adulti, vale per tutti.

Certo magari, in un ragazzo l’aspetto emotivo prende il sopravvento. Un adulto dovrebbe saperlo e gestirsi meglio, ma certamente la colpa non è dei giovani. Il governo avrebbe dovuto garantire una migliore organizzazione dei trasporti, come ha fatto per le scuole, le quali hanno seguito attentamente il protocollo. Non attuando soluzioni efficaci per i trasporti, non ha centrato l’obiettivo. Comunque è bello l’accostamento che hai fatto all’epidemia del colera, perché Don Bosco si era portato dietro i giovani per dare una mano ai colerosi e gli promise che nessuno di loro si sarebbe contagiato se lo avessero fatto in grazia di Dio, senza aver compiuto peccati e così fu. Adesso non penso che potremo fare molto andando in giro, sicuramente non sarebbe prudente. I tempi sono diversi, però delle piccole iniziative le stiamo lanciando. Ad esempio stiamo tentando di aiutare dei ragazzi che non possono seguire la didattica distanza e quindi abbiamo chiesto a coloro che hanno più di un dispositivo, se non utilizzato, di poterlo donare a quelli che non ne possiedono uno. Non è molto, ma è già qualcosa. Anche la scorsa primavera, durante la pandemia, alcuni ragazzi si sono presi cura di un anziano, lo chiamavano e gli facevano compagnia. Delle piccole iniziative migliorabili.

Ci può raccontare un episodio simpatico o meno, che ricorderà sicuramente in futuro?

Me ne vengono in mente tanti, ma i miei alunni potrebbero rintracciare la persona o le persone di cui sto parlando. In particolare ero tentato di non continuare i dialoghi personali tramite la didattica a distanza, perché c’è bisogno dell’incontro. Invece ho scoperto che un volto lo si può incontrare anche a distanza. Ci sono stati dei colloqui molto belli in cui ragazzi si sono mostrati per quelli che sono. C’è stata una comunicazione profonda nonostante la distanza, è stato un incontro che ho sentito vicino perché non si sono sentiti bloccati, hanno parlato in tranquillità. Anzi qualcuno con la protezione dello schermo si è anche aperto di più di quanto magari non avrebbe fatto di persona. Scoprire che si può continuare seppur in maniera diversa a stare vicino a chi ne ha bisogno è stato molto bello.

 

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