Le città invisibili
Il libro, scritto da Italo Calvino, una delle più note ed influenti personalità in ambito letterario del Novecento, si presenta – per quanto ciò non sia vero a livello storico – come una serie di relazioni di viaggio che Marco Polo fa a Kublai Kan, imperatore dei tartari. Potremo definire Le città invisibili come una sorta di raccolta di descrizioni di città, che spesso tende ad assomigliare ad un racconto filosofico, zeppo di metafore. Lui stesso disse di aver avuto numerosi ripensamenti e apportò diverse modifiche all’opera, perché voleva che le serie di racconti si alternassero e si intrecciassero, ma allo stesso tempo desiderava che il percorso del libro non di distaccasse in modo eccessivo dall’ordine cronologico in cui le idee erano state buttate su carta.
Emerge chiaramente che i racconti sono stati scritti in periodi e stati d’animo diversi, poi legati e trasformati in un libro attraverso la figura del racconto di un viaggiatore visionario, che descrive città impossibili, non riconoscibili, chiamate ognuna con un nome di donna, all’imperatore malinconico che ha capito che il suo potere ormai non conta molto, perché il mondo sta andando in rovina. Allo stesso tempo rimane affascinato da tutte le parole pronunciate da Marco, ed ogni qualvolta, vede gli oggetti riportati, dai lunghi e appaganti viaggi, è eccitato come un bambino la notte della Vigilia di Natale, ansioso di scartare i regali.
Il libro è atemporale, non è presente il minimo riferimento all’epoca in cui gli eventi narrati accadono. Tutto sembra essere avvolto da una atmosfera di sogno, in cui persino i dialoghi tra Marco Polo e il Kan sembrano diventare frutto di una fervida immaginazione e alcune volte al posto delle parole ci sono semplici gesti a tal punto che tra i due si instaura una comunicazione inimitabile, come riportato in questo passo: “Lo straniero aveva imparato a parlare la lingua dell’imperatore, o l’imperatore a capire la lingua dello straniero”.
Il libro è strutturato in modo tale che ogni pagina fornisce uno spunto di riflessione e stimoli all’immaginazione, poiché, unendo le parole una dopo l’altra, vediamo materializzarsi, davanti ai nostri occhi, le città, che si erigono; partendo dai muri traforati come merletti, archi formati da pietre, senza le quali non esisterebbero, gli odori delle cucine, i tepori delle terme, le odalische con i veli colorati, ma anche i topi, le grondaie, la pattumiera e le lamiere rovinate.
Ci sono grandi spunti di meditazione anche sul passato, di tutte le città. Un momento che cattura l’attenzione è il punto in cui, Marco Polo, parla di Venezia, sua città natale, che non è mai stata citata perché:
“ Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole si cancellano, forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta se ne parlo. O forse, parlando d’altre città, l’ho già perduta a poco a poco.”
Credo che questo dialogo sia uno dei più interessanti, perché viene esplicitato come, nel descrivere tute le altre città, implicitamente facciamo paragoni con quella a cui siamo legati, affezionati o che ci è piaciuta di più, proprio per questo le descrizioni di Calvino sono atipiche.
I racconti sono differenti da tutti gli altri, che avessi mai letto; non hanno paura di descrivere ciò che è brutto o visivamente sgradevole, ogni racconto pur se raggruppato è diverso, in queste città immaginarie non ce ne è una che somigli ad un altra. Ciascuna viene presentata con delle caratteristiche tipiche, che la contraddistinguono, e l’autore è capace di cogliere dettagli inaspettati,come lo sguardo della gente, le credenze, i proverbi su quel luogo, la sua corrispondenza con il regno dei cieli o il regno dei morti, ma per scoprirli tutti fino in fondo l’unica cosa che si può fare è leggere il libro.
Resta ancora una questione in sospeso: la morale. Mentirei nel dirvi che esiste un’unica morale, un unico modo di leggere le pagine, ed infatti ogni descrizione è colma di spunti in cui leggere tra le righe o mettersi a pensare ai viaggi, ai ricordi, a questo passato che condiziona il modo di vedere le cose, immaginarle e quindi anche la maniera di leggere il libro, che ha mio parere è estremamente personale. In qualsiasi caso io ho trovato due morali della storia.
La prima è sicuramente la più evidente al lettore e si fonda sull’ultima frase, la quale forse non sarebbe stata notata da tutti se non fosse proprio la fase finale del libro, cioè: “ cercare e saper riconoscere chi è che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” Certamente è una frase bellissima, ricca di significato, una di quelle frasi da tenere stampate a mente, e applicare in tutti gli ambiti della vita, ma io trovo che il vero messaggio del libro sia capire l’essenza della città, che è un insieme di tante cose: “questi scambi non sono solo scambi di merci,sono scambi di parole,di desideri, di ricordi”.
Per me il senso è questo, quello che vogliamo chiamare “morale” o ”insegnamento”, ovvero non vedere la città solo come un luogo costruito dagli uomini per vivere insieme, seguendo il loro istinto e i bisogni che li accomuna con gli altri, le città non sono solo le mura e i palazzi scrostati, ma sono un insieme di persone che si amano, di gente nuova che arriva e gente che le abbandona, sono luoghi di ritrovo e di condivisione di emozioni e pensieri, e sono le persone che la abitano che la modificano e la rendono speciale, amabile, unica e non il tempo, poiché la città cambia insieme ai sentimenti degli uomini, e per me è questo l’elemento che accomuna tutte le città di Calvino, ma anche le nostre, le città reali.