Recensione di “Berlinguer – La grande ambizione”

L’efficace ritratto di Andrea Segre di una delle figure più influenti della politica italiana.

Nel 2024, anno da poco volto al termine, è stato commemorata la morte di Enrico Berlinguer, avvenuta l’11 giugno del 1984. Una parte della vita e della carriera di Berlinguer, storico membro del PCI e tra gli uomini più influenti della politica italiana della seconda metà del ‘900, viene raccontata nel film Berlinguer – La grande ambizione, pellicola uscita alla fine dell’ottobre 2024. Realizzare un film del genere è sempre un’impresa di mirabile complessità, e la sfida risiede proprio nel sapere descrivere (in maniera più o meno oggettiva) il personaggio che si vuole raccontare, cercando di risultare fedeli ai fatti storici e all’essenza dell’uomo narrato, ma al contempo personali nella materia puramente cinematografica. I quesiti sono dunque spontanei: riesce in questo Berlinguer – La grande ambizione? Ma soprattutto, com’è il film? 

Prima di parlare direttamente dell’opera di Andrea Segre, giunto al suo quinto lungometraggio ma già regista di più di una ventina di documentari, tracciamo una veloce cronologia degli eventi, legati a Enrico Berlinguer, nel periodo narrato dal film, dal 1973 al ’78. 

Nell’ottobre del 1973, Berlinguer (diventato segretario del PCI nel ’72) si recò in Bulgaria per incontrare il capo di Stato Todor Živkov. Mercoledì 3 ottobre si dirigeva verso l’aeroporto di Sofia su un’auto assieme a una scorta di polizia e un’altra macchina con a bordo i dirigenti del partito che lo avevano accompagnato, quando la macchina dove viaggiavano Berlinguer e i suoi accompagnatori fu investita da un camion militare. L’incidente provocò la morte dell’interprete del politico. Tempo dopo inizio a girare il forte sospetto, alimentato da Berlinguer stesso, che si fosse trattato non di un incidente ma di un vero e proprio attacco orchestrato dal KGB e dai servizi segreti bulgari contro Berlinguer, per via delle sue posizioni contrastanti rispetto a Brežnev, Segretario del Partito Comunista dell’URSS. 

Nel periodo successivo, iniziarono a delinearsi le caratteristiche della linea politica del segretario del Partito, che si fondava su due punti cardine essenziali: il celebre “compromesso storico”, ovvero il tentativo di collaborare con la Democrazia Cristiana per realizzare riforme sociali ed economiche che il leader del PCI considerava indispensabili, e la volontà di rappresentare un nuovo comunismo indipendente dall’URSS (poi chiamato “eurocomunismo”). 

Nel giugno del 1975, si tennero le elezioni regionali e amministrative: furono chiamati a votare quaranta milioni gli italiani e a votare furono, per la prima volta, anche i diciottenni. L’esito segnò una sostanziale vittoria delle sinistre, in particolare dei comunisti, che ottennero una media nazionale del 33,4%. Alle elezioni politiche svoltesi nel 1976 uscirono vincitori sia la Democrazia Cristiana che il PCI. 

Nel febbraio del 1978, Enrico Berlinguer incontrò Aldo Moro. In tale incontro, il segretario della Democrazia Cristiana affermò che i gruppi parlamentari democristiani avrebbero sostenuto l’ingresso del PCI nella maggioranza di governo. Il mese prima infatti, il Comitato centrale del PCI sottolineò l’esigenza di una partecipazione diretta del Partito al

governo del Paese. Il compromesso storico sembrava ormai compiuto, ma ogni speranza venne distrutta dai tragici eventi successivi. 

Il 16 marzo del 1978 un gruppo di brigatisti rapì Aldo Moro e, dopo una prigionia di 55 giorni, il 9 maggio lo uccise. Il corpo venne ritrovato in una Renault 4 rossa a Roma. L’avvenimento scosse in modo estremamente traumatico l’intera nazione italiana, tra cui ovviamente anche lo stesso Berlinguer, che vide in questo doloroso avvenimento la conclusione della possibilità di una realizzazione del compromesso tanto ambito. Noi ci fermiamo qua, ma la carriera politica di Berlinguer durò ancora fino a lungo: rimase, infatti, segretario del PCI fino al 1984, anno della sua scomparsa. 

La pellicola di Andrea Segre ha dalla sua una caratteristica fondamentale, che potrebbe essere considerata un punto di forza o di debolezza, a seconda di come la si guarda. Si tratta di un’opera fortemente didascalica, concentrata soprattutto nel fornire una narrazione oggettiva, una sorta di lezione sugli avvenimenti che riguardano quei 6 anni di vita politica di Enrico Berlinguer. Questo non vuol dire che sia totalmente bistrattato il Berlinguer uomo, la persona dietro al politico. Anzi, le sequenze concentrate sull’intimità famigliare non sono assenti e non risultano, come è solito nei film del genere, indigeste.

Al tempo stesso, tuttavia, manca al lungometraggio una spinta maggiore a livello puramente cinematografico, una vena personale che lo renda qualcosa di più di un film “interessante”. Poco male, sia chiaro, non tutte le pellicole hanno l’obbligo di impegnarsi a entrare nella storia della settima arte. Non avrebbe però guastato, anche per una maggiore capacità di rimanere impresso nella mente, una vena artistica più forte a un film verso cui alla fine non può rimanere molto di più che un sentimento di gratitudine per averci fornito una visione generale di un periodo storico così importante e complesso.

 

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